mercoledì 23 novembre 2016

Home sweet home

Vabbè dai, ormai si è capito che è un periodo cupo. Mi sento come l'aria estiva prima del temporale: satura di pioggia; che sei sempre lì che ti chiedi "oh, ma ti decidi a piovere?". Io invece sono satura di lacrime. 
E quindi basta niente; figurati poi una riunione al nido che lacrime può generare.

Comunque questi pensieri uggiosi si incatenano e si rincorrono e non so come arrivano a farmi pensare a cose assurde. Cioè, non così assurde, in realtà solo strane, che ti chiedi "ma che cavolo ti è venuto in mente?". Boh. C'era un filo che seguivo eh, ma poi l'ho perso ed è rimasto questo pensiero.

E il pensiero in questo momento è la casa. Ecco, ora ricordo. Nasce proprio dalla riunione al nido, dal fatto che nonostante per Giorgio sia il primo anno, rivedo facce che ho già incontrato, quando facevamo acquaticità, quando facevo l'inseirmento di Lola, a scuola con Momi, al nido con Giorgio. 
Io sono sempre sembrata una fuggitiva: ovunque andassimo il Papi incontrava qualcuno che lo legava alla sua casa, io no, nemmeno nel comune in cui ho abitato per la maggior parte della mia vita.  I miei compagni del liceo, quelli che non ho voluto continuare a vedere semplicemente non li ho più visti nè incontrati. Ma alla fine ti senti sempre estraneo in un mondo in cui gli altri si conoscono e tu sembri uno scappato di casa. 
Quando arrivano i bambini invece hai bisogno di un tessuto sociale vicino a te.

Ecco. E' un po' che io ormai chiamo casa questo posto.
Sono quasi dieci anni che vivo nell'uggiosa cittadina, e non l'ho mai sentita sulla mia pelle. Sì bellina eh! tanti parchi, pochi palazzoni, tutto sommato buoni servizi. Ma non era casa mia. Ho abitato anche nel capoluogo brianzolo quando stavo ancora con la mamma e il papà, ma l'ho odiato. 
"Casa mia" era il peggio dell'hinterland milanese. Sono cresciuta lì, tra quartierini residenziali e case popolari che Quarto mollami, nel comune che veniva usato per dire "porta a casa tutto, ma non uno del paesEllo!". Ho imparato a muovermi in quel contesto e quindi il mio habitat era quello. Lì la biblioteca a cui ho fatto riferimento per i miei n. anni universitari; lì il medico, il parrucchiere, il negozio di fiducia, il fratello, la sorella che ho scelto, gli zii, il lavoro.

Poi basta. Quando sono andata a vivere da sola mi sono spostata nella provincia brianzola solo per una questione di costi. E mi sono adattata, con il sogno di tornare al mio paesEllo.

E invece, nella brianza alcolica sono diventata mamma e mi sono sparata due anni e mezzo di lavori forzati in casa. Ho camminato ore e giorni per le vie della cittadina uggiosa, ho scoperto anfratti pittoreschi e servizi. L'ho vissuta insomma, come chi si trasferisce in una nuova città non può fare, perchè lavora. E infatti Papi queste cose non le conosce, lui non ha vissuto la nostra città.
Ho conosciuto panettieri, farmacie - mai avrei pensato nella vita che avrei avuto la mia farmacista! - minimarket. E soprattutto scuole, nidi, maestre, mamme.
E chi li lascia più? Questa ormai è casa mia. Forse uno mette le radici dove sente di poter crescere i proprio figli o dove trova un elemento - che non ho ancora definito cosa sia - che fa dire "casa".

So che per il nostro Papi non è così.
Lui non ha famigliarità con la pianura. Nè con la città. Poi Milano è una posto davvero difficile per chi non aveva voglia di città - sì, perchè va bene "casa" il mio paesino in brianza, ma io sono milanese, non brianzola. Sia chiarissimo! per questo il riferimento alla metropoli è sempre con Milano! il capoluogo brianzolo per me è solo un surrogato venuto male e per di più spocchioso! -. 
Un po' lo capisco. Un po' mi rendo conto della differenza tra lo svegliarsi e vedere davanti a sè la casa del vicino stagliata su cielo grigio cenere, e il vedere invece il complesso dell'Adamello sullo stesso sfondo. Per un periodo molto recente abbiamo insieme accarezzato l'idea di svegliarci ogni giorno all'ombra delle montagne. Ma no, io non ce la faccio. Io che ho sempre voluto andare, ora voglio restare.

Andare oggi per me significherebbe tirare su un pezzo così grosso di radice che per farla riattecchire da un'altra parte servirebbero anni. Ma io questi anni voglio usarli per cercare di godermi i miei figli e non per cercare di adattarmi al nuovo. Ho bisogno di certezze nella fatica che facciamo ogni giorno per crescerli sereni. Ho bisogno di sapere che sulla mia strada domani ci sarà ancora la maestra Antonella che mi scalderà il cuore con tutto l'amore che regala al mio Momi, una maestra "Grassia" che il mio Giorgio ha preso come punto di riferimento per la sua vita fuori dalle braccia della mamma, e una maestra Titti che mi lascia il tempo di piangere ogni volta che ne ho bisogno. Ho bisogno di sapere che l'anno prossimo fuori dalle elementari incontrerò quelle mamme, e alla riunione al nido quelle altre. Ho bisogno di sapere che al piano di sopra c'è una vicina che quando non so più dove sbattere la testa, o quando ho bisogno di fare due chiacchiere posso chiamare. Ho bisogno di punti di riferimento. 

Sono sempre stata una sradicata. Ho sempre aperto la porta ai cambiamenti, (quasi sempre) certa che portassero con sè tanto. Ma oggi non posso. 
Questa è casa mia. 
Spero solo che Papi digerisca il post e sopratutto che possa diventare anche per lui casa sua. Brutta, eh! Ma casa.


E ora vorrei una mazzetta dalla pro loco della RidenteCittadina - o uggiosa, dipende dalle stagioni - .

- si va bene, la foto della uggiosa/ridente fa schifo. Ma quello offre il comune, che potevo fare? -

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